Mohssen Kasirossafar

Mohssen Kasirossafar – Liutaio
Vicolo del Cedro, 34
00153 Roma (RM)

+39 328 871 8746


Mohssen Kasirossafar – Liutaio

Mohssen Kasirossafar arriva a Roma dall’Iran nel 1975 con un sogno: diventare un grande regista. Non sa ancora, quando mette piede in Italia, che, quattro anni più tardi, la rivoluzione integralista di Khomeini non lo farà più rientrare di fatto nel proprio Paese, trasformando il suo viaggio in un’avventura di sola andata lunga tutta una vita, in cui storia, cronaca e arte si intrecciano come in un romanzo di formazione d’altri tempi.

A Roma, Mohssen studia cinema alla Sapienza fino al 1986, poi inizia a lavorare, coltivando il sogno che lo aveva portato in Italia. È una dura gavetta, cominciata spazzando per terra sui set di Bellocchio e Celentano. Fino a quando, in una sala di mixaggio della capitale, incontra Ennio Morricone e Duccio Tessari. Il maestro e il regista erano alle prese con il montaggio del Principe del Deserto, di cui Morricone stava componendo la colonna sonora. Per caso, Mohssen mostra al compositore la sua abilità nelle percussioni a calice a dieci dita, una tecnica tipicamente iraniana, finendo per conquistarlo e guadagnandosi uno spazio nella soundtrack del film. Da quel momento Mohssen decide di dedicarsi completamente alla musica: inizia a comporre, costruisce da sé i suoi strumenti, si iscrive alla scuola di Testaccio e, più tardi, alla scuola Internazionale di Liuteria di Cremona. Dall’aspirante cineasta nasce così un artigiano maturo della liuteria.

Dal cinema alla musica

La liuteria prevede un percorso di studi molto lungo, che inizia con i rudimenti di chimica e fisica e arriva fino all’acustica: “Ci vogliono quattro anni per imparare a costruire uno strumento ad arco e dieci per imparare a costruire un pianoforte e un’arpa”, racconta Mohssen. “In più ci sono i corsi di musica, di storia della musica. I corsi sul legno, su come seguire un direttore d’orchestra. Lo studio dei materiali, ovviamente, è centrale. Prendiamo un qualsiasi strumento ad arco: il piano armonico è in abete, le fasce, il fondo e il manico sono invece realizzate in acero”.

Un melting pot culturale

Oggi, a quasi cinquant’anni dall’inizio della sua avventura, Mohssen si dice grato all’Italia e alla sua cultura, perché tutto quello che ha imparato fino ad ora lo ha imparato qui. Paradossalmente, racconta, anche quanto ha potuto approfondire del suo Paese di origine, lo ha approfondito per comparazione con la cultura italiana.

Otto mesi fa, Mohssen ha venduto il suo ultimo violino, realizzato nella bottega di via del Cedro dove si è trasferito dopo la pandemia e dove si dedica principalmente alla riparazione degli strumenti ad arco. Qui,  calascioni, arpe e chitarre raccontano la sua vita accanto a lampade e a paralumi anni Trenta accumulati negli anni dei viaggi in Austria e in Francia. Nel frattempo, Mohssen continua a studiare nuovi strumenti come il fagotto e il corno inglese, e lavora con un gruppo, il Mish Mash Ensemble, dove ogni musicista porta la propria cultura (islamica, buddista, ebraica e cristiana) dando vita a veri e propri esperimenti musicali all’insegna di quel meeting pot culturale che è alla base della sua vita e della sua arte.