Stefano Marolla – falegname



La bottega a Monteverde

Dopo aver lavorato per 20 anni a Trastevere, Stefano Marolla come molti artigiani ha accusato la diaspora dell’artigianato dal centro storico. Ha deciso di trasferirsi a Monteverde, in un laboratorio di falegnameria aperto negli anni ‘60 da un suo predecessore. Oggi in questa zona ci sono due falegnami ogni 200.000 abitanti.

Lo spazio è molto grande: c’è un magazzino con tutti i prototipi, mobili restaurati e pezzi già finiti. Tra i prototipi c’è un mobile bar con la rappresentazione grafica dell’equazione della curva di Peano, base dei frattali, il cui disegno è stato usato  poche volte nel corso degli anni.

Stefano condivide lo spazio con due collaboratori esterni che lavorano a progetto.

La formazione

La realtà di Stefano è particolare perché ha deciso di non avere un supporto tecnologico a controllo numerico. La scelta è data dalle esperienze: nonostante venisse da un preparazione tecnica, dopo studi in fisica, si è dedicato a una lavorazione manuale. “Lavoravo in giacca e cravatta con multinazionali per poi avere necessità di liberarmi dei numeri e della produzione in serie”. 

Ha iniziato a lavorare il legno in età adolescenziale, con un parente ebanista ed un anziano artigiano, per fronteggiare spese come il motorino e le piccole uscite. Era appassionato di scultura, ma senza trovare una scuola adatta a lui ha deciso di dedicarsi al restauro: vedendo e toccando lavori fatti da altri si impara tanto, tanto da iniziare a produrre dei pezzi propri.

Si è specializzato nel 900, un periodo molto complesso, fino a poter maneggiare pezzi di Bugatti, i quali hanno moltissimi materiali diversi tra cui madreperla, osso, argento, seta, pergamena e tanti altri, uniti a legno e policromia. Ambiti e tecniche di restauro molto diverse in un unico oggetto.

La tecnica “a stoffa”

Dopo 5 anni di studi fatti sul movimento del legno, cercando di capire come piegare un multistrato al limite massimo senza arrivare al punto di rottura, ha trovato la giusta tecnica. 

Stefano riesce a fare fogli da tre metri piegati e poi tagliati. La contrazione è fissata con dei morsetti, e la forma viene data con la forza delle mani, talvolta con l’ausilio di forme in legno per iniziare la piega, cercando di non spezzare il materiale. Ma ciò che davvero aiuta nella piegatura del legno è la tecnica studiata con l’alternanza tra vapore caldo e azoto freddo, così da permettere tempi di piegatura brevi.  

Infine si passa alla lucidatura, attraverso prodotti naturali come la gommalacca, e alla colorazione del legno. 

“Sono l’unico a utilizzare questa tecnica e non l’ho brevettata; non ha nemmeno un nome. 

Ho inventato una tecnica dove il legno sembra stoffa. I minusieri torinesi, quando videro i miei mobili,  sono stati mezz’ora a guardare senza capire il mio processo di realizzazione.” 

Questo risultato di solito si otterrebbe scavando il legno massello, ma non sarebbe possibile realizzare curve reversibili. Mentre con i fogli di multistrato che vengono piegati tramite shock termico, con il vapore e l’azoto liquido, si può lavorare con più passaggi.

L’idea del prodotto viene disegnata a mano e al computer, per poi passare immediatamente al lavoro manuale e di forza. Con questa tecnica Stefano ha realizzato numerosi progetti, che tuttora produce.

 

“Qualcuno della vecchia guardia è rimasto, ma l’evoluzione passa a volte per un’estinzione”

“A Trastevere ho avuto l’intelligenza di imparare da grandi maestri. C’è uno spessore umano che si sta perdendo, come si sta perdendo la sapienza e il saper fare. I filosofi artigiani di un tempo sono stati abbandonati ed è una perdita della quale nemmeno ci si rende conto. È pur vero che spesso i grandi designer hanno portato visibilità alla produzione artigianale, ma è la manovalanza a correggere e a insegnare alla parte creativa, e il tributo della riconoscenza non c’è stato e ancora non c’è. 

Inoltre c’è una perdita della distinzione del prodotto anche tra regione e regione. Un tempo era possibile distinguere a colpo d’occhio un mobile lombardo da uno partenopeo, adesso è difficile riconoscere un mobile americano da uno europeo a causa della globalizzazione. 

Con il tempo aumentano le competenze e si diventa super artigiano, ovvero bisogna saper disegnare, usare nuove tecnologie ma allo stesso tempo continuare a dare valore alla manualità, senza dover usare solo CNC e lavorazioni totalmente robotizzate. “Non è una critica tout court al controllo numerico, ma bisogna valorizzare l’unicità e non la perfezione tecnologica, o almeno non farle pagare come se fossero lavorazioni manuali.”